Studiare in un’altra lingua? Ricerca unibz ne misura gli effetti sui voti d’esame
La frequenza di corsi di laurea in una lingua diversa dalla propria lingua madre è ormai diventata un’esperienza comune per le nuove generazioni di universitari*e che vanno all’estero a completare la loro formazione ma anche per chi rimane in Italia; molti atenei del nostro Paese, infatti, offrono da anni percorsi di studio interamente in lingua inglese. Ma cosa comporta questa scelta in termini di rendimento? Qual è l’impatto della lingua in cui si riceve la formazione? Lo hanno studiato il prof. Mirco Tonin, ordinario di Politica economica alla Facoltà di Economia, e la ricercatrice Juliana Bernhofer (Venezia Ca’ Foscari), che nel paper The Effect of the Language of Instruction on Academic Performance (L’effetto delle lingua di insegnamento sulla performance accademica, ndt.), appena pubblicato sulla rivista scientifica Labour Economics (in Open Access), hanno analizzato i dati relativi ai voti ottenuti negli esami di profitto dagli*lle studenti*esse di tre Facoltà della Libera Università di Bolzano.
Gli*le studenti*esse unibz. Il caso studio ideale
L’ipotesi di partenza di Tonin e Bernhofer, basata sulla letteratura esistente, è che lo studio in una lingua diversa dalla propria madrelingua impone dei costi cognitivi che si riflettono sull’apprendimento e sulle prestazioni degli*elle studenti*esse alle prove d’esame. Dimostrare empiricamente questa ipotesi non è semplice. Comparare, ad esempio, studenti madrelingua e non nelle università inglesi non sarebbe informativo, in quanto gli studenti, ad esempio cinesi, che vanno a studiare in Inghilterra sono selezionati e questo va a mascherare un potenziale svantaggio linguistico. Per questa ragione, i due economisti hanno preso in considerazione gli*le studenti*esse dell’Università di Bolzano. Essendo un ateneo trilingue (italiano, tedesco e inglese), frequentato per la maggior parte da studenti*esse di madrelingua italiana o tedesca che devono obbligatoriamente sostenere corsi nelle tre lingue, unibz offre l’assetto istituzionale ideale per misurare il differenziale di rendimento quando lo*a studente*essa affronta la prova nella propria lingua-madre o in un’altra delle due.
I risultati dell’analisi
“Abbiamo esaminato i dati relativi ai voti di studenti e studentesse e quante volte essi*e abbiano sostenuto le prove e abbiamo constatato che i voti presi quando hanno fatto l’esame in una lingua diversa dalla propria lingua madre, sono mediamente più bassi”, spiega Tonin, “inoltre le probabilità che l’esame vada male aumentano quando la lingua d’esame non è la propria”. L’ordinamento trilingue della Libera Università di Bolzano permette di comparare studenti di madrelingua italiana e tedesca che frequentano insieme corsi in inglese, tedesco e italiano, e di isolare dunque l’effetto della congruenza tra lingua madre e lingua d’insegnamento. Ebbene, dalle analisi statistiche è emerso che i voti riportati in un esame in una lingua diversa dalla propria sono mediamente più bassi del 9,5%, una percentuale non trascurabile. Inoltre, vi è una probabilità più alta di non superare l’esame. Un ulteriore risultato della ricerca di Tonin e Bernhofer è che la conoscenza dell’altra lingua a un livello elevato (C1 o C2) riduce - ma non elimina - lo svantaggio.
Infine, lo studio rileva il tentativo da parte degli*delle studenti*esse di unibz di evitare di sostenere gli esami in una lingua diversa dalla propria lingua madre (es. sostenendone alcuni in Erasmus o in altre università oppure posticipandoli, aspettando che un corso venga insegnato nella propria madrelingua negli anni successivi), ma questo tipo di comportamento, pur presente, è comunque molto limitato e ininfluente da un punto di vista quantitativo.
Quindi è meglio formarsi solo nella propria madrelingua? Non proprio
La conclusione più scontata, basandosi sullo studio di Tonin e Bernhofer, è che sarebbe meglio evitare di seguire corsi in una lingua diversa dalla propria lingua madre. Niente di più sbagliato, secondo il prof. di Politica economica in unibz. “Sono numerosi gli studi che sottolineano il vantaggio di possedere competenze linguistiche nel mercato del lavoro”, sottolinea Tonin, “dunque, dal punto di vista delle opportunità professionali, il plurilinguismo ha un ritorno. Gli*le studenti*esse che decidono di affrontare un corso universitario in una lingua diversa dalla propria – o nel caso di unibz, spesso addirittura in due lingue diverse dalla propria - hanno orizzonti più ampi e dimostrano, in primo luogo ai futuri datori di lavoro, di non avere paura delle sfide. Si tratta dunque di un investimento che comporta un costo immediato, che è però ampiamente ripagato in futuro, sia da un punto di vista personale che lavorativo”.
(zil)